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Denunciare è un dovere civico non essere complice della violenza sulle donne!

L’amore non lascia lividi.

L’amore non è un’offesa,

L’amore non ti minaccia.

L’amore cura dal male, ma non ne fa.

L’amore NON alza le mani,

ma ti prende per mano...l'amore non è violenza!

 

Perché le donne non si ribellano a mariti, compagni o fidanzati aggressivi, verbalmente o fisicamente?

 

Sono molteplici le motivazioni della mancata ribellione della donna. Senso di colpa, timore dell’abbandono e mancanza di sostegno esterno sono le motivazioni principali. Molto spesso gli aggressori riescono a rimandare la responsabilità della violenza sulla donna che ne è vittima: se tu fossi più complice, se tu non fossi sempre arrabbiata, se tu mi lasciassi in pace quando sono nervoso. Queste sono alcune delle frasi collegate agli atti di violenza.

 

Le leggi sicuramente aprono un varco nella possibilità di un cambiamento, ma se non accompagniamo tutto ciò con un'educazione psicologica che modifichi i modelli interiorizzati le donne che provano a lasciare il proprio partner violento continueranno a tornare da lui proprio perché rimaste sole, impaurite e non sanno dove altro andare.

 

La mancanza di un supporto sociale, parentale e istituzionale è sicuramente uno degli elementi che maggiormente concorrono a frenare la ribellione. Le vittime si trovano sole, impaurite dalle continue minacce del partner, e spesso senza una via di fuga concreta.

 

Nel pensare sociale è ancora fortemente radicata l’idea che la vittima 'non è vittima'. Si dà per scontata una sua responsabilità nello scatenare la reazione dell’aggressore. Questo è il vero handicap sociale con il quale ci dobbiamo confrontare.

 

Purtroppo ancora oggi il problema è a livello culturale, la violenza sulle donne trova origine nei rapporti di potere tra i generi, retaggio del sistema patriarcale che incide, limitandoli, sui diritti delle donne e sulla loro collocazione in tutte le sfere della vita. Gli uomini, e anche le donne, sono intrisi di cultura patriarcale sin da bambini.

 

La nostra cultura trasferisce stereotipi che separano il maschile dal femminile sin dall'infanzia. Essere donna significa essere bella e accudente, compiacente, essere uomo, invece, significa essere competitivo, esercitare la forza fisica, il potere e l’autorità sino all’uso normale della violenza.

 

Si tratta, quindi di un grande problema della nostra cultura, a tutte le latitudini, considerato che la violenza contro le donne non ha confini territoriali.

 

Occorrono, pertanto, politiche di sensibilizzazione che trasmettano il messaggio che, per ottenere l’aiuto sperato, bisogna raccontare dei maltrattamenti subiti e mettersi in contatto con le istituzioni e i servizi dedicati

 

Parallelamente è necessario un cambio di rotta culturale. Gli uomini vanno educati al rispetto del genere opposto, smontando pregiudizi che sono retaggio di una cultura becera e maschilista, che sin qui non è stata repressa e punita a dovere.

 

Solo così potremo evitare che la violenza raggiunga il suo apice nel femminicidio, che nasce da un’idea malata di possesso della donna, e che rappresenta più di un terzo degli omicidi. Perché se non c’è donna al mondo che meriti di essere maltrattata, tanto meno ce n’è una che meriti di morire, per un amore malato.

 

È fondamentale che, una volta acquisita la consapevolezza che non si tratta di una patologia, una malattia dell’uomo, ma di un retaggio della cultura in cui è cresciuto, ci si attivi per educare sia le ragazze sia i ragazzi a sviluppare valori e principi ispirati al rispetto dell’altro e dell’altra, alla solidarietà e alla cooperazione.

 

È fondamentale anche sviluppare un’educazione riguardante le pari opportunità, offrendo modelli meno rigidi nell'esercizio della vita quotidiana, che veda la possibilità di risolvere i conflitti attraverso il dialogo, evitando che la volontà di alcune persone sia imposta a discapito di altre.

 

Avv. Fatima Santina Kochtab

 

 

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