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Modalità di esercizio dell'attività forense: Doveri di lealtà e probità

L’art. 88 c.p.c. impone all'avvocato di comportarsi con lealtà e probità.

 

Il comportamento processuale delle parti può anche costituire l’unica fonte di convincimento del giudice, e non soltanto un mezzo di valutazione degli elementi probatori già acquisiti  al processo. Pertanto, ai fini dell’accertamento dei fatti controversi il giudice può trarre elementi di convincimento dalle contraddizioni che si colgono nell'assunto difensivo di uno dei soggetti della lite, ad esempio dalla circostanza che, con riferimento  all’oggetto del processo, siano state avanzate versioni diverse, in violazione, appunto,  del dovere di lealtà e probità.

 

La violazione di tale dovere deve essere valutata esclusivamente nel contesto processuale, restando estranee circostanze che, sia pure riconducibili a un comportamento poco commendevole della parte, si siano esaurite esclusivamente in un contesto extra processuale (Cass. 15353/2000). 

 

Non integra, invece, violazione del dovere di lealtà e probità la prospettatone di tesi giuridiche o la ricostruzione di fatti riconosciuta come errata al giudice (Cass. 10247/1998). 

 

In caso di inosservanza del dovere di comportarsi in giudizio con lealtà e probità il giudice riferisce alle autorità che esercitano il potere disciplinare su di essi (i consigli  distrettuali di disciplina). 

 

Sempre sul piano delle conseguenze derivanti dalla violazione dell’art. 88 c.p.c. l’art.  92 c.p.c. autorizza la deroga del principio della soccombenza, utilizzato per stabilire quale delle parti in causa debba sostenere le spese processuali. Pertanto, indipendentemente dalla soccombenza, la parte che viene meno al dovere di lealtà è condannata al rimborso delle spese che l’altra parte ha dovuto sostenere a causa del suo comportamento illecito.

 

Nel prossimo articolo parleremo del procedimento disciplinare.

 

 

 

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