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Il reato di maltrattamenti contro familiari e conviventi

La legge n.69 del 2019, meglio nota come Codice Rosso, ha introdotto nel nostro ordinamento la nuova categoria dei reati di violenza domestica o di genere.

La nozione di «violenza domestica», è offerta dall’art. 3, co. 1, d.l. 93/2013, conv. dalla l. 113/2013, sulla scia di quanto previsto dalla Convenzione di Istanbul : «[..] si intendono per violenza domestica uno o più atti, gravi ovvero non episodici, di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano all’interno della famiglia o del nucleo familiare o tra persone legate, attualmente o in passato, da un vincolo di matrimonio o da una relazione affettiva, indipendentemente dal fatto che l’autore di tali atti condivida o abbia condiviso la stessa residenza con la vittima».

 

Tra i reati che rientrano nella violenza domestica vi è quello di maltrattamenti contro i familiari e conviventi di cui all’art.572 cod. Pen. di cui vi parlo offro una disamina nel seguente articolo.

Art.572 cod. pen. dispositivo

Il reato di maltrattamenti contro familiari e conviventi

Il reato di cui all’art.572 cod. Pen. consiste nella sottoposizione dei familiari ad una serie di atti di vessazione continue e tali da cagionare sofferenze, privazioni, umiliazioni, le quali costituiscono fonte di un disagio persistente ed incompatibile con normali condizioni di vita.

 

I singoli episodi, che costituiscono un comportamento abituale, devono rendere manifesta l’esistenza di un programma criminoso relativo al complesso dei fatti, animato da una volontà unitaria di vessare il soggetto passivo. Non è tuttavia necessario che lo stato di sofferenza e mortificazione inflitto alla vittima dall’agente si colleghi in forma simmetrica a specifici contegni prepotenti e vessatori attuati nei suoi confronti dal soggetto agente, potendo quello stato derivare anche da diffuso clima di afflizione, sofferenza e paura indotto nella vittima dall’imputato.

 

Nell’ottica di offrire sempre maggiore tutela alle vittime, anche a seguito della ratifica da parte dell’Italia della Convenzione di Lanzarote del 2007 ( "sulla protezione dei minori dallo sfruttamento e dagli abusi sessuali”)  l’art.572 cod. Pen. è stato fatto oggetto di numerose modifiche nel corso del tempo, prima tra tutte quella attuata con la legge n.172 del 2012, la quale, non solo ne ha modificato la rubrica, che prima faceva riferimento ai “maltrattamenti in famiglia o verso i fanciulli”, ma ha anche inserito tra i possibili soggetti passivi del reato chiunque conviva con il soggetto maltrattante.

 

Di recente la norma ha subito una modifica per opera della L. n.69 del 2019, c.d. Codice Rosso, che, nell’ottica di contrasto alla violenza domestica ha mutato l’articolo inasprendo il trattamento sanzionatorio, sia con riferimento alla fattispecie base di cui al co.1, sia prevedendo, al comma 2, nuove circostanze aggravanti. Con la medesima legge il legislatore ha, altresì, previsto, all’ultimo comma, che il minore che assista ai maltrattamenti sia considerato persona offesa dal reato.

Bene-interesse protetto

L’oggetto della tutela penale del reato di maltrattamenti in famiglia di cui all’art.572 cod. Pen. non è rappresentato soltanto dall’interesse dello Stato alla salvaguardia della famiglia da comportamenti vessatori e violenti, ma anche dalla tutela dell’incolumità fisica e psichica delle persone indicate nella norma, interessate al rispetto integrale della loro personalità e delle loro potenzialità nello svolgimento di un rapporto, fondato su costruttivi e socializzanti vincoli familiari aperti alle risorse del mondo esterno, a prescindere da condotte pacificamente vessatorie e violente.

 

Si tratta, infatti, di una fattispecie penale che punisce chiunque maltratta un familiare o un convivente ovvero un soggetto sul quale esercita un’autorità ( es. per ragioni di lavoro, di status sociale) ovvero su una persona che gli è stata affidata per altre ragioni previste dalla norma.

 

La fattispecie delittuosa pertanto tutela non solo soggetti facenti parte di un nucleo familiare, bensì tutte le vittime di maltrattamenti che subiscono tale affronto da parte di un soggetto con cui hanno un rapporto personale, continuativo e abituale.

Natura giuridica: legame di abitualità quale elemento oggettivo del reato

comportamenti, commissivi o omissivi, consistenti nel ledere o mettere in pericolo l’incolumità personale, la libertà o l’onore della famiglia di per sé non costituiscono reato se non accompagnati dalla reiterazione ed abitualità.

 

Stiamo parlando, infatti, di un reato a carattere necessariamente abituale, caratterizzato dalla sussistenza di comportamenti che acquisiscono rilevanza penale per effetto della loro reiterazione nel tempo, la mancanza della quale fa venir meno il reato ed i  singoli comportamenti, laddove ne ricorrano i presupposti, punibili da una diversa fattispecie delittuosa.

 

E', pertanto. necessario, per la configurabilità del reato de quo, che le sofferenze fisiche e morali impartite alla persona offesa siano la componente di una più ampia ed unitaria condotta abituale, idonea ad imporre un regime di vita vessatorio, mortificante e insostenibile da parte di un componente della famiglia, un convivente o una persona che sia sottoposta all’autorità del soggetto agente o sia a lui affidata.

 

Abitualità non significa, tuttavia, che non possano sussistere momenti di pausa e, cioè, periodi di normalità nella condotta dell’agente e di accordo con le persone offese, poiché, data la natura abituale del delitto in oggetto, l’intervallo di tempo tra una serie e l’altra di episodi lesivi non fa venir meno l’esistenza dell’illecito purché il comportamento lesivo sia reiterato per un lasso di tempo che tradisca una sistemica sopraffazione diretta a rendere dolorosa la convivenza della persona in famiglia così da ricondurre ad unità di vari episodi di aggressione alla sfera morale e materiale di quest'ultima.

Elemento soggettivo: dolo unitario e generico

L’elemento soggettivo o psichico che caratterizza il delitto di maltrattamenti è il dolo unitario ed uniforme, che denota una grave intenzione di avvilire e sopraffare la vittima e che ricollega ad unità i vari episodi di aggressione alla sfera morale e materiale del soggetto passivo. Il dolo è unitario ma non è necessario che scaturisca da uno specifico programma criminoso rigorosamente finalizzato alla realizzazione del risultato effettivamente raggiunto.  

La conseguenza è che il momento soggettivo che esprime il dolo del delitto di maltrattamenti può ben realizzarsi in modo graduale, venendo esso a costituire il dato unificatore di ciascuna delle componenti oggettive.

 

E' sufficiente poi che il dolo sia generico e, cioè, cioè che il soggetto agente abbia la coscienza e la volontà di sottoporre il soggetto passivo a tali sofferenze in modo continuo ed abituale, mentre non è necessario che la condotta vessatoria e violenta abbia uno specifico fine criminoso, ne il pravo proposito di infliggere alla vittima sofferenze fisiche o morali senza plausibile motivo ( dolo specifico).

Concetto di famiglia ed individuazione dei soggetti passivi

La norma è inserita nel capo IV del titolo XI, codice penale avente ad oggetto i delitti contro l’assistenza familiare, e contraddistinti dal fatto che l'offesa viene originata all'interno del gruppo familiare.

Ai fini della configurabilità del reato di maltrattamenti in famiglia deve considerarsi “famiglia” ogni consorzio di persone tra le quali, per strette relazioni e consuetudini di vita, siano sorti rapporti di assistenza e solidarietà, senza la necessità della convivenza e della coabitazione.

È sufficiente un regime di vita improntato a rapporti di umana solidarietà ed a strette relazioni, dovute a diversi motivi anche assistenziali.

 

Ne consegue che il delitto si consuma anche tra persone legate soltanto da un puro rapporto di fatto, che, per le intime relazioni e consuetudini di vita correnti tra le stesse, presenti somiglianza ed analogia con quello proprio delle relazioni coniugali.

 

Il delitto di maltrattamenti in famiglia deve dirsi, pertanto, configurato anche ove le condotte illecite siano poste in essere nei confronti del convivente more uxorio, in tal caso è necessario, ai fini della configurazione, che il rapporto tra i soggetti coinvolti, benché soltanto di fatto, sia connotato da stabilità e reciproca assistenza e protezione.

 

A nulla rileva l’eventuale situazione di intervenuta separazione o interruzione della convivenza, allorché la condotta del soggetto agente realizzi gli elementi strutturali tipici dell’ipotesi criminosa di cui all’art.572 cod. pen. attraverso ripetute ed insistenti manifestazioni di offensività e di aggressività attuate in danno del coniuge separato o dell’ex convivente.

La giurisprudenza di legittimità ritiene configurabile, con principio interpretativo consolidato, il delitto di maltrattamenti in famiglia anche in danno di persona non conviventi o non più convivente con l'agente, quando quest'ultimo e la vittima siano legati da vincoli nascenti dal coniugio o dalla filiazione, considerato che la convivenza non è un presupposto del reato e che i vincoli di reciproco rispetto permangono integri anche dopo la separazione personale, tanto più quando sussista la necessità di adempiere gli obblighi di cooperazione nel mantenimento, nell'educazione, nell'istruzione e nell'assistenza morale dei figli minori ( Cass. Pen. Sent. n.50304/2018)

 

L’art.572 vigente ha, inoltre, ampliato la categoria delle persone che possono essere vittima di maltrattamenti aggiungendo nella previsione normativa ogni persona sottoposta all’autorità dell’agente, ovvero al medesimo affidata per ragioni di istruzione, educazione ecc…. .

Sussiste il rapporto di autorità ogni qualvolta una persona dipenda da altra mediante un vincolo di soggezione particolare ( ricovero, carcerazione, rapporto di lavoro subordinato, ecc…).

All’imprenditore o a chi lo rappresenta spetta l’autorità sui propri dipendenti riconosciuta da parte di norme di legge ( artt.2086, 2106 e 2134 cod. Civ.), il rapporto intersoggettivo che si istaura tra datore di lavoro e lavoratore subordinato, essendo caratterizzato dal potere direttivo e disciplinare che la legge attribuisce al datore nei confronti del lavoratore dipendente, pone quest’ultimo nella condizione, specificatamente prevista dalla norma penale testé richiamata di “persona sottoposta alla sua autorità”, il che, sussistendo gli altri elementi previsti dalla legge, permette di configurare a carico del datore di lavoro il reato di maltrattamenti in danno del lavoratore dipendente. La fattispecie di cui è in discorso a differenza del maltrattamento in famiglia non richiede la convivenza ma la semplice sussistenza di un rapporto continuativo. Laddove però l’azienda ha dimensioni ridotte, dal punto di vista spaziale, personale ed organizzativo, tale da poter equiparare le relazioni tra le persone ( datore di lavoro o equiparato e lavoratori ) a quelle tra componenti di una famiglia in senso stretto si impone la qualificazione del comportamento vessatorio e violento in termini di maltrattamenti contro I familiari e conviventi.

 

Si tratta, dunque, di un reato “proprio” poiché presuppone l’esistenza di una relazione qualificata tra soggetto attivo e passivo. È, infatti, idoneo a realizzarsi solo nell’ambito di relazioni familiari o rapporti fondati sulla autorità o su precise ragioni di affidamento appena esaminati.

Aggravanti: lesioni o morte

 

Il delitto di maltrattamenti è aggravato ex art.572, co.4 co. pen. qualora dai maltrattamenti derivi, quale conseguenza non voluta, una lesione grave o gravissima, oppure la morte del soggetto passivo.

Aggravante violenza assistita

 

La l. n. 69/2019, al comma 2, sempre nell'ottica di tutela dei soggetti più vulnerabili  ha previsto l’applicazione di una circostanza aggravante nel caso in cui i maltrattamenti siano realizzati in presenza o in danno di un minore, di una donna in stato di gravidanza o di una persona disabile.

il minore è sempre vittima del reato anche in caso di violenza assistita

 

 

Allo scopo di apportare una migliore tutela penale alle vittime di violenza domestica il legislatore del codice rosso oltre a prevedere un inasprimento sanzionatorio per il caso in cui il delitto di maltrattamenti in famiglia sia commesso in presenza o in danno di persona minore, ha ritenuto opportuno introdurre all’art.572 un nuovo ultimo comma il quale testualmente dispone: “il minore di anni diciotto che assiste ai maltrattamenti di cui al presente articolo si considera persona offesa dal reato”.

 

Ciò significa che il minore di anni 18 è sempre da considerarsi vittima del reato, sia che assista alla violenza sia che la subisca. Rifacendoci al concetto di persona offesa dal reato, possiamo dire che il legislatore con tale modifica ha inteso sottolineare che il minore che assiste alla violenza è parimenti titolare dell’interesse prodotto dalla norma incriminatrice come coloro i quali subiscano direttamente la condotta violenta del soggetto agente con tutte le conseguenze processuali del caso.

Responsabilità ex art.572 cod. pen. e perdita della responsabilità genitoriale

 

La condanna del genitore per il delitto in esame comporta, inoltre, ai sensi dell’art.569 c.p., la perdita della responsabilità genitoriale. 

Avv. Fatima Santina Kochtab

 

 

La sottoscritta avvocata presta assistenza legale alle vittime di violenza domestica ed altresì assistenza nella preparazione dell'esame di abilitazione, per qualsiasi informazione potete compilare il form o contattarmi agli indirizzi indicati nella sezione "contattami".

 

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