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Il reato di omicidio preterintenzionale e di omicidio aggravato dai futili motivi

 

Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici

Gv 15,9-17 )

La triste storia di cronaca del giovane Willy Monteiro Duarte massacrato di botte nella notte tra il 5 ed il 6 settembre a Colleferro sta facendo il giro del web.

 

Accusati dell’omicidio sono quattro giovani del posto arrestati con l’accusa di omicidio preterintenzionale.

 

A seguito delle indagini compiute, anche attraverso i rilievi autoptici, l’accusa ha deciso di riqualificare il capo di imputazione da omicidio preterintenzionale ad omicidio volontario aggravato dai futili motivi.

 

Quando si configurano le due fattispecie di reato, quali le pene previste e, dunque, le conseguenze per un simile cambiamento apportato dall'accusa al capo di imputazione? Cercherò di spiegarlo nel seguente articolo.

 

 

L'omicidio

Alla luce della disciplina dettata dal codice, possiamo affermare che l’omicidio consiste nel cagionare la morte di un uomo in presenza di un determinato atteggiamento psicologico (dolo, colpa, preterintenzione), mediante un comportamento attivo o passivo e senza il concorso di cause di giustificazione.

 

Il reato si ritiene consumato quando sussistono:

  • Una condotta attiva o passiva,
  • L’evento morte,
  • Il nesso di causalità tra i due.

In relazione alle diverse caratteristiche dell’elemento psicologico, la legge prevede tre distinte fattispecie di omicidio:

  • doloso (art. 575 c.p.),
  • preterintenzionale (art. 584 c.p.),
  • colposo (art. 589 c.p.).

Scopo di ognuna delle norme che puniscono l’omicidio è la tutela della vita umana, considerato il bene supremo della persona.

 

Soggetto passivo (o oggetto materiale dell’azione criminosa) dell'­l’azione criminosa è un altro uomo, e cioè una persona diversa dall'agente. In merito vi è da precisare che:

  • si ritiene comunemente che la qualità di uomo si acquista nel momento in cui ha inizio il distacco del feto dall'utero della donna;
  • La vittima deve essere viva: infatti, se la persona fosse già morta il delitto sarebbe impossibile per l’inesistenza dell’oggetto (art.49 co.1).

Da ciò deriva che è omicidio non solo l’uccisione di un neonato ma anche la soppressione del feto durante il parto.

 

In merito, invece, al requisito della vitalità e, cioè, della capacità di vivere a lungo, è stato precisato che costituisce omicidio l’anticipare, anche in minima porzione di tempo, la morte di un uomo, essendo irrilevante che essa si sarebbe verificata ugualmente per le conseguenze letali di altre lesioni riportate dalla vittima ad opera di altre persone, una volta che l’azione dell’imputato abbia concorso alla causazione dell’evento. Mentre va escluso il nesso di causalità quando il colpo venga inferto nel momento stesso della morte ove si sia accertato che esso, nemmeno in via indiretta, era sufficiente a cagionare l’evento letale.

 

L’omicidio è un reato a forma libera, il legislatore non richiede per la sua realizzazione modalità specifiche. Il comportamento, pertanto, può consistere tanto in un’azione quanto in una omissione.

Anche la somministrazione di una sostanza apparentemente innocua può essere mezzo per commettere il reato, in quanto il la condotta posta in essere va valutata in concreto con riferimento al fatto specifico ( si pensi al caso della somministrazione di una grossa dose di zucchero ad un diabete in gravi condizioni).

 

L’evento del delitto è la morte della vittima.

 

Il delitto si consuma nel momento in cui il soggetto passivo cessa di vivere. La determinazione del momento in cui è avvenuta l’effettiva cessazione della vita spetta alla scienza medica.

 

Poiché la morte è un evento distinto dalla condotta dell’agente, nell'omicidio è configurabile il tentativo, nelle due forme di tentativo compiuto e incompiuto. Nel delitto tentato di omicidio, ai fini della sussistenza del reato è sufficiente il dolo diretto rappresentato dalla cosciente volontà di porre in essere una condotta idonea a provocare, con certezza o alto grado di probabilità in base alle regole di comune esperienza, la morte della persona verso cui la condotta stessa si dirige, non occorrendo, invece, la specifica finalità di uccidere, e quindi il dolo intenzionale inteso quale perseguimento dell’evento come scopo finale dell’azione.

 

Tra l’azione e l’omissione dell’agente e l’evento morte deve sussistere un nesso di causalità

 

 

La consumazione del reato si ha nel momento e nel luogo in cui si verifica la morte.

 

 

Sotto il profilo soggettivo l’omicidio può essere doloso, colposo o preterintenzionale.

 

 

 

L'omicidio preterintenzionale art.584 cod.pen.

In base all’art. 584 c.p. commette omicidio preterintenzionale chiunque, con atti diretti a cagionare percosse o lesioni, causa la morte di un uomo.

 

Ai fini della sussistenza del reato de quo, dunque, è sufficiente che l’autore abbia commesso atti diretti a percuotere o a ledere e che esiste un rapporto di causa ed effetto tra i predetti atti e l’evento letale.

 

Poiché la legge parla di “atti diretti a …”, non si richiede che vengano realizzati gli estremi dei delitti di percosse o lesioni, siano cioè consumati, né è richiesto il raggiungimento degli estremi del tentativo punibile, mancando il riferimento nel disposto normativo al requisito dell’idoneità ( << atti idonei>>), basta, dunque, un qualunque comportamento aggressivo diretto a ledere o a percuotere. Può, pertanto, assumere rilevanza anche un semplice comportamento minaccioso ed aggressivo, sempre che sia diretto a ledere o percuotere.

 

Il termine << percuotere >> non è assunto nell’art.581, percosse, nel solo significato di “battere”, “picchiare”, “colpire”, ma anche in quello più ampio, comprensivo di ogni violenta manomissione della altrui persona fisica, onde, oltre il pugno, lo schiaffo o la bastonata, integra il percuotere o quanto meno l’atto diretto a percuotere anche l’urto o la spinta violenta, l’afferramento e simili.

 

Quanto all'elemento soggettivo, la preterintenzione, è una forma di colpevolezza caratterizzata dalla volontà di un evento minore, percosse o lesioni, e dal verificarsi di un evento ulteriore più grave che va oltre l’intenzione.

 

Nell’omicidio preterintenzionale l’agente non vuole l’evento morte neppure come conseguenza eventuale della sua azione, ma vuole solo produrre una lesione personale. Pertanto affinché l’omicidio sia preterintenzionale occorre che l’autore non abbia assolutamente previsto la morte come un evento altamente probabile della sua condotta. Sembrerebbe essere un ipotesi di dolo misto a responsabilità oggettiva tuttavia l’indirizzo ormai consolidato afferma che l’elemento soggettivo nel delitto in esame è costituito unicamente dal dolo di percosse o lesioni, in quanto la disposizione di cui all’art.43 c.p. assorbe la prevedibilità di evento più grave nell'intenzione di risultato.

 

Il delitto si consuma nel momento e nel luogo in cui si verifica la morte, ma mancando la volontà dell’evento morte, il tentativo è inconcepibile.

 

 

Al reato di omicidio preterintenzionale si applicano le medesime aggravanti di quello doloso, a cui si aggiungono due speciali consistenti nell'uso di armi o di sostanze corrosive.

 

Omicidio volontario art.575 cod. pen.

Nella forma dolosa l’omicidio si configura quale coscienza e volontà diretta alla provocare la morte di un individuo.

 

Ai sensi dell’art. 575 c.p. è omicidio doloso il fatto di chi volontariamente cagiona la morte di un altro uomo.

 

Caratteristica della fattispecie in esame è l’esistenza del dolo dell’agente.

 

L’applicazione dei principi generali in materia di dolo porta ad affermare, nello specifico campo dell’omicidio, che ai fini della sussistenza dell’elemento psicologico del delitto di omicidio volontario:

  • è necessario e sufficiente che l’agente si sia rappresentata la morte come conseguenza diretta della sua azione od omissione, e quindi l’abbia voluta in ogni caso (dolo diretto);
  • ovvero che si sia rappresentato l’evento morte come indifferente rispetto a quello di lesioni (dolo indiretto sotto forma di dolo alternativo);
  • ovvero, ancora, che l’agente si sia rappresentato come probabile o possibile anche l’evento più grave, cioè la morte, e, ciononostante, abbia agito ugualmente anche a costo di cagionare tale più grave evento, accettandone preventivamente il rischio e che, quindi, abbia voluto cagionarlo (dolo indiretto, sotto forma di dolo eventuale). 

 

In giurisprudenza si sostiene che la prova del dolo omicidiario è prevalentemente affidata alle peculiarità estrinseche dell’azione criminosa, aventi valore sintomatico in base alle comuni regole di esperienza, quali il comportamento antecedente e susseguente del reato, la natura del mezzo usato, le parti del corpo della vittima attinte, la reiterazione dei colpi, nonché tutti quegli elementi che, secondo “l’id quod plerunque accidit” abbiano un valore sintomatico.

 

 

La pena per il reato di omicidio volontario è della reclusione non inferiore agli anni 21.

 

 

Aggravante dei futili motivi art.61 n.1 cod.pen.

Il Codice penale, all’articolo 61 n. 1, delinea una circostanza aggravante di tipo comune che si applica nel caso in cui il reo abbia agito per motivi abietti o futili.

Oltre a provocare un aumento fino ad un terzo della pena inflitta al soggetto riconosciuto colpevole (al pari delle alte circostanze aggravanti comuni) tale circostanza aggravante, qualora ricorrente, determina la punibilità del delitto di omicidio con la pena dell’ergastolo.

In primo luogo, occorre delineare cosa si intenda per motivo del reato: tradizionalmente la dottrina identifica il motivo del reato nell'impulso, lo stimolo, l’istinto, la molla che determina il reo ad agire e commettere il delitto. In tal senso il motivo del reato si può distinguere dallo scopo del reato, che consiste invece in un consapevole fine che il colpevole intende perseguire attraverso la realizzazione del fatto delittuoso.

 

Appare ovvio come la concreta applicazione dell’aggravante in analisi, stante il suo contenuto non specifico che rimanda a connotati del reato non individuabili oggettivamente, sia stata nel tempo rimessa all'interpretazione della giurisprudenza, che ne ha delineato i contorni applicativi.

 

Secondo la giurisprudenza il motivo di reato può dirsi futile ove la determinazione criminosa sia stata indotta da uno stimolo esterno di tale levità, banalità e sproporzione, rispetto alla gravità del reato, da apparire, secondo il comune modo di sentire, assolutamente insufficiente a provocare l’azione criminosa e da potersi considerare, più che una causa determinante dell’evento, un mero pretesto per lo sfogo di un impulso violento (Sez. 5, n. 41052 del 19/06/2014, Barnaba, Rv. 260360).

 

In ogni caso, il riconoscimento della futilità del motivo presuppone, da parte del giudice, la necessaria identificazione in concreto della natura e della portata della ragione giustificatrice della condotta delittuosa, quale univoco indice di un istinto criminale più spiccato e di un elevato grado di pericolosità dell’agente (Sez. 1, n. 18779 del 27/03/2013, Filocamo, Rv. 256015).

 

Per quanto fin qui detto ed esposto è chiaro che l'accusa mutando il capo di imputazione da omicidio preterintenzionale ad omicidio volontario aggravato dai futili motivi intende punire con pene più severe i colpevoli del delitto di Willy ritenendoli colpevoli di aver cagionato non solo volontariamente ma anche per motivi lievi, banali e sproporzionati rispetto all'accaduto la morte del giovane ragazzo. Pene che possono arrivare fino all'ergastolo.

 

Dunque, chiunque abbia provocato la morte di Willy così come chiunque commetta simili atrocità va incontro ad una vita ristretta in carcere.

 

 

Avv. Fatima Santina Kochtab

 

 

 

 

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