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Matrimonio annullato a causa del Covid-19? Ecco cosa fare per non perdere i propri investimenti

L’inverno sta arrivando e con esso sta risalendo anche la curva dei contagi da Covid-19. L’emergenza sta portando all’emanazione di nuove disposizioni normative sempre più restrittive dettate al fine di arginare la pandemia.

 

Tra i vari disagi creati da questa difficile situazione ricade anche la rattifica o il rinvio di numerose celebrazioni religiose tra cui i matrimoni.

Molti sono, infatti, coloro i quali rischiano di vedersi annullata la data delle nozze o comunque di non poterle svolgere come avevano immaginato e sognato quando hanno iniziato i preparativi e, quindi, che decidono di rinunciarvi sperando in tempi migliori.

 

Già durante il lokdown molte nozze, la cui data era stata fissata durante i periodo di chiusura, erano stati rinviati in questo periodo dell’anno, nella speranza che le cose migliorassero. Le disposizioni normative dettate a partire da marzo non prevedevano la possibilità di uscire di casa se non per motivi ben specifici e quindi neppure di presenziare ad una cerimonia religiosa tanto più a dei festeggiamenti.

 

Tanti altri erano programmati fin dall’inizio in questi mesi e si possono svolgere ma con disposizioni molto limitative e che annullano il clima festoso che tradizionalmente allieta questo giorno.

 

 

Le nuove norme prevedono la possibilità di celebrare i matrimoni purché ciò avvenga nel pieno rispetto di regole ben precise e particolarmente restrittive: presenza di un numero minimo di invitati (non più di venticinque persone, compresi sposi, testimoni, celebrante), obbligo di mascherina per tutta la durata della cerimonia e distanziamento di un metro, ingressi scaglionati alla sala comunale e divieto di assembramenti anche fuori dal Municipio o dalla Chiesa, in attesa dell’arrivo degli sposini novelli.

 

Disposizioni altrettanto restrittive sono previste per i festeggiamenti: anche qui niente assembramenti, obbligo di indossare la mascherina ogni volta che si ci alza dal tavolo, niente buffet libero e impossibilità di ballare.

 

 

È evidente che la celebrazione nuziale svolta in tali maniere unita alla preoccupazione di possibili contagi diventa sicuramente meno festosa e sicuramente non il sogno sperato da tante coppie da qui la decisione di molti futuri sposi di rinviare la data aspettando e sperando in tempi migliori.

 

 

Nel seguente articolo illustrerò i rimedi esperibili al fine di non perdere i soldi investiti nella prenotazione delle strutture ricettive e per non pagare alcunché a causa della disdetta non certo dipesa dalla volontà della coppia.

 

 

 

 

 

 

Cercare un accordo con i gestori della struttura ricettiva.

 

Dal momento che stiamo vivendo un periodo particolare e difficile per tutti sarebbe utile ed opportuno tentare in primis una risoluzione bonaria e, quindi, accordarsi con i gestori della struttura ricettiva.

 

Una modalità di accordo può essere ad esempio quella di concordare di “congelare” quanto già versato a titolo di caparra in vista della celebrazione del matrimonio nella medesima struttura ma in altra data.

 

Laddove si volesse del tutto disdire le nozze allora si può tentare una coinciliazione stabilendo di comune accordo con il titolare della struttura ricettiva la risoluzione del contratto e, quindi, la restituzione di quanto pattuito.

 

 

Risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta della prestazione e restituzione della caparra.

 

 

 

Se una conciliazione non è possibile allora si può ricorrere alle vie legali e quindi chiedere la risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta della prestazione, di cui agli artt.1256 e 1463 cod. civ., con conseguente restituzione della caparra versata a titolo di acconto.

 

L'impossibilità sopravvenuta di dare corso al contratto di ristorazione costituisce motivo di risoluzione del contratto stesso.

 

 

L’impossibilità di celebrare il matrimonio ­– e conseguentemente festeggiare i nubendi – per effetto dell’intervento dei provvedimenti della Pubblica Autorità (resi per fronteggiare il dilagante imperversare della pandemia) rientra a pieno titolo nella nozione di impossibilità sopravvenuta della prestazione per intervento del factum principis.

 

Tali sono considerati tutti quegli atti della Pubblica Autorità che, perseguendo il pubblico interesse, impongano o vietino determinati comportamenti, sopprimendo individuate libertà personali.

 

 

Ai sensi dell’articolo 1256: "L'obbligazione si estingue quando per una causa non imputabile al debitore, la prestazione diventa impossibile.
Se l'impossibilità è solo temporanea, il debitore, fino a che essa perdura, non è responsabile del ritardo nell'inadempimento. Tuttavia l'obbligazione si estingue se l'impossibilità perdura fino a quando, in relazione al titolo dell'obbligazione o alla natura dell'oggetto, il debitore non può più essere ritenuto obbligato a eseguire la prestazione, ovvero il creditore non ha più interesse a conseguirla
".

 

 

La prestazione si estingue, dunque, quando:

 

  • diventa impossibile eseguirla, appare evidente che i nubendi non possono usufruire della prestazione pattuita con gli organizzatori dell’evento, a causa delle limitazioni imposte dai provvedimenti emergenziali;
  • quando il creditore non ha più interesse ad eseguirla, i futuri sposi possono non avere interesse a celebrare e, quindi, festeggiare il proprio matrimonio nelle condizioni restrittive previste dai provvedimenti normativi;
  • tale impossibilità è successiva al momento in cui è nato il rapporto obbligatorio, cioè, è necessario che i nubendi abbiano stipulato con i gestori ed organizzatori i contratti volti all’erogazione dei relativi servizi in tempi non sospetti e che non si siano in alcun modo potuti avvedere della emanazione di simili provvedimenti nel periodo corrispondente alla celebrazione del proprio matrimonio;
  • tale inattuabilità non è imputabile al debitore, è senza ombra di dubbio pacifico che l’inadempimento contrattuale posto in essere dall’organizzatore dei festeggiamenti debba considerarsi incolpevole, non potendo la pandemia in essere imputabile ai nubendi.

 

 

L’art. 1463 c.c., in materia di risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta della prestazione, stabilisce che “Nei contratti con prestazioni corrispettive, la parte liberata per la sopravvenuta impossibilità della prestazione dovuta non può chiedere la controprestazione, e deve restituire quella che abbia gia’ ricevuta, secondo le norme relative alla ripetizione dell’indebito”.

 

 

Alla luce delle disposizioni normative appena esplicate, pertanto, i nubendi, parti insoddisfatte, sono legittimati a chiedere la risoluzione del contratto per sopravvenuta impossibilità della prestazione per causa non imputabile al debitore e l’eventuale restituzione di quella già eseguita (rectius, delle somme già corrisposte a titolo di acconto sul prezzo complessivo del servizio).

 

 

Sottolineo inoltre che la caparra non è in alcun modo un anticipo delle spese ma può essere al più definita come una forma prenotativa del contratto che funge da garanzia per un eventuale inadempimento, pertanto, per i motivi di cui sopra va restituita ed il gestore non può in alcun caso rifiutarsi di restituirla.

 

 

Avv. Fatima Santina Kochtab

 

 

 

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