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La Cassazione sul concorso tra reato di maltrattamenti contro familiari e conviventi ed il reato di violenza privata

 

Cassazione  30 giugno 2020, n. 19545

 

 

Massima 

 

Il reato di violenza privata può concorrere materialmente con il reato di maltrattamenti in famiglia quando le violenze e le minacce del soggetto attivo siano adoperate, oltre che con la coscienza e volontà di sottoporre la vittima a sofferenze fisiche e morali in modo continuativo e abituale, anche con l’intento di costringerla ad attuare un comportamento che altrimenti non avrebbe volontariamente posto in essere.

 

 

La Corte nella parte motiva della sentenza in primo luogo ha affermato che I giudici di merito correttamente, con motivazione congrua ed adeguata, hanno affermato la penale responsabilità dell’imputato in ordine al reato di cui all’art.572 cod. Pen. operando una ricostruzione in fatto non censurabile. I giudici della corte hanno infatti, correttamente evidenziato come le complessive emergenze istruttorie comprovavano chiaramente ed in modo univoco che nei fatti in esame non poteva essere escluso l’elemento soggettivo del reato ex articolo 572 c.p., pure valutata la condizione di tossicodipendenza dell’imputato, e che, pertanto, la condotta violenta e vessatoria posta in essere dall’imputato in danno della moglie integra chiaramente il reato di maltrattamenti.

Del resto la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato di maltrattamenti in famiglia non implica l’intenzione di sottoporre il convivente, in modo continuo e abituale, ad una serie di sofferenze fisiche e morali, ma solo la consapevolezza dell’agente di persistere in un’attività vessatoria (Sez. 6, n. 16836 del 18/02/2010 – dep. 04/05/2010, M. e altro, Rv. 24691501), condotta consapevole da parte dell’imputato verificatasi, certamente, nella specie.

La Corte continua affermando, inoltre, che i giudici di merito hanno pure chiarito, con una motivazione che non può ritenersi né carente né illogica né contraddittoria che privo di risultante probatorie appare altresì il tentativo della persona offesa in sede di dibattimento di fornire una versione edulcorata dei fatti – riconducendo i momenti di aggressività dell’imputato, soggetto tossicodipendente, alle sole crisi di astinenza dello stesso, al fine di sminuire la gravità dei comportamenti posti in essere dal marito – non appariva decisivo.

 

Quanto poi al reato di violenza privata la Cassazione ha ritenuto, con I giudici di merito, correttamente configurabile a carico dell’imputato anche il reato ex articolo 610 c.p., in quanto i comportamenti da egli posti in essere costituiscono, secondo quanto ricostruito in fatto, delle ulteriori ed autonome condotte rispetto a quelle specificatamente maltrattanti, essendo emerso che si trattava di distinte condotte consistenti in minacce di morte volte  a coartare la volontà della vittima ad omettere di sporgere legittimamente denunzia per quanto subito, risultando, quindi, integrata una distinta condotta volta a coartare, ancorché’ contestata nel medesimo ambito spazio-temporale rispetto ai contestati maltrattamenti.

In relazione, dunque, al motivo di impugnazione con il quale il ricorrente lamenta il fatto che la corte territoriale non aveva considerato assorbiti nel reato di cui all’articolo 572 c.p., l’imputazione relativa al reato di violenza privata aggravata, gli ermellini hanno sottolineato che, sebbene si rinvenga in giurisprudenza anche l’orientamento secondo il quale nel reato di maltrattamenti in famiglia rimangano assorbiti, in quanto rientranti nella materialità di detto delitto, i reati di ingiurie, minacce e violenza privata (cfr. per tutte: Sez. 6, n. 13898 del 28/03/2012 – dep. 12/04/2012, S., Rv. 25258501; idem Sez. 2, n. 15571 del 13/12/2012 – dep. 04/04/2013, Di Blasi, Rv. 25578001), nel caso di specie non può trascurarsi che per quanto riguarda il reato di violenza privata aggravata, la relativa condotta è stata commessa, siccome puntualmente contestato al prevenuto ed adeguatamente acclarato, proprio al fine di assicurarsi, attraverso il silenzio della persona offesa in ordine ai pregressi comportamenti dell’imputato, l’impunità rispetto, fra l’altro, al delitto di maltrattamenti in famiglia, di tal che le violenze e le minacce hanno acquistato una chiara autonomia, sotto il profilo della volizione criminale, rispetto alla serialità delle vessazioni in cui si è sostanziato il presupposto reato di cui all’articolo 572 c.p., distaccandosene ed acquisendo, pertanto, una specifica rilevanza delittuosa..

Non va, del resto sottaciuto che l’elemento psicologico che caratterizza il delitto di cui all’articolo 572 c.p. è il dolo generico, consistente nella coscienza e volontà di sottoporre la vittima ad una serie di sofferenze fisiche e morali, mentre a nulla rilevano le finalità di volta in volta perseguite dall’autore degli atti vessatori (cfr. sez. 6, 200539927, Agugliaro, RV 233478; sez. 6, 200404933, Catanzaro, RV 229514), risultando il reato di cui all’articolo 610 c.p., caratterizzato da dolo specifico.

 

I giudici della corte suprema concludono affermando il principio di diritto per cui: " deve ritenersi che il reato di violenza privata può concorrere materialmente con il reato di maltrattamenti in famiglia previsto dall’articolo 572 c.p., quando le minacce del soggetto attivo siano adoperate, oltre che con la coscienza e volontà di sottoporre la vittima a sofferenze fisiche e morali in modo continuativo e abituale, anche con l’intento di costringerlo ad attuare un comportamento che altrimenti non avrebbe volontariamente posto in essere, per come emerso nella specie.

Casus decisus

Nella specie, l’imputato, oltre a sottoporre la moglie a condotte integranti maltrattamenti, con ulteriori minacce l’aveva costretta ad omettere di presentare denuncia per quanto subito, così realizzando una condotta autonoma, anche sotto il profilo della volizione criminale, rispetto alla serialità delle vessazioni riconducibili al delitto di cui all’art. 572 cod. Pen.

 

 

Avv. Fatima Santina Kochtab

 

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