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I contratti di locazione transitori per studenti universitari ai tempi del Covid-19

 Ci siamo ritrovati impauriti e smarriti ha tuonato Papa Francesco durante la benedizione Urbi et Orbi nel mezzo del vuoto colonnato di Piazza San Pietro durante il look down che ci ha visti tutti protagonisti negli ultimi mesi a causa dell’emergenza sanitaria determinata dal diffondersi del Covid-19. 

 

Sicuramente tra i soggetti “impauriti e smarriti” vi sono stati molti giovani fuori sede che presi dall'angoscia di restare bloccati in una città che non è la loro, lontano dal calore domestico delle proprie famiglie e spaventati per l’enorme mole di contagio, hanno fatto rientro a casa.

 

Abitazioni dove sono rimasti per tutti i mesi nei quali non solo le lezioni universitarie non venivano svolte in presenza ma il Governo aveva imposto misure stringenti di mobilità nazionale che di fatto impedivano, pur volendo, agli studenti rientrati nei luoghi di residenza di far ritorno nelle abitazioni locate ad uso transitorio. Probabilmente gli studenti continueranno, anche dopo l’allentamento delle misure sulla mobilità nazionale, a risiedere nelle loro abitazioni d’origine onde evitare contagi avendo ormai perso la ratio della loro permanenza presso l’alloggio locato per motivi universitari.

 

Pertanto molti di loro, o per essi i genitori, si trovano a pagare canoni di affitto per un’immobile di fatto non più utilizzato da tempo e che non si sa ancora per quanto tempo continuerà ad essere tale dal momento che in merito al termine dell’emergenza e della fine delle misure di contenimento non vi è certezza.

 

Al riguardo nulla dispone il Decreto Cura Italia emanato dal Governo per far fronte all'emergenza epidemiologica, pertanto la disciplina dei contratti di locazione si intende invariata e ad essi si applicano le disposizioni vigenti prima dell’emergenza, i canoni di locazione sono dunque dovuti ed i contratti di locazione non sono modificati.

 

Pertanto, ove gli studenti conduttori di propria iniziativa e senza avere raggiunto un accordo con il locatore omettessero di pagare o pagassero solo parzialmente il canone sarebbero imputabili di inadempimento contrattuale ed il locatore abilitato a promuovere la procedura di sfratto per morosità volta ad ottenere la risoluzione del contratto di locazione ed il pagamento delle somme dovute fatta salva la possibilità per il conduttore, cui sia stato intimato lo sfratto per morosità, di chiedere la concessione di un termine di grazia per sanare la morosità.

 

Per quanto fin qui detto appare più opportuno per lo studente conduttore tentare in primis di raggiungere un accordo con il locatore che soddisfi le esigenze di entrambi quali la riduzione, la sospensione momentanea o il differimento del termine di pagamento del canone: il conduttore potrebbe avere interesse a mantenere la locazione dell’immobile al fine di farvi rientro non appena cessata l’emergenza o non appena predisposte da parte delle Università le misure di contenimento idonee a consentire le lezioni in aula, il locatore avrebbe invece interesse a proseguire il rapporto contrattuale in un periodo di crisi anche per il mondo immobiliare.

 

Laddove l'accordo raggiunto prevede un canone ridotto è necessario che le parti predispongano un apposito atto che deve essere registrato entro 30 giorni utilizzando il Modello 69 disponibile sul sito dell'Agenzia delle Entrate e che,  ai sensi dell'art. 19 del D.L. n. 133/2014,  riguardando un contratto di locazione ancora in essere è esente dalle imposte di registro e di bollo.

 

Laddove un accordo non fosse possibile e/o il conduttore avesse interesse a recedere dal contratto abbandonando definitivamente l’immobile si aprirebbe un altro possibile scenario, la possibilità di recedere dal contratto per gravi motivi.

 

Solitamente, infatti, nel contratto-tipo di locazione per studenti universitari è prevista la possibilità per il conduttore, in caso di gravi motivi, di recedere in qualsiasi momento, con un preavviso di almeno 3 mesi, inviando un’apposita comunicazione al locatore ( in genere ricevuta a/r).

 

La genericità della formula utilizzata dal legislatore ha prestato il fianco ad incertezze e quindi ad interventi dottrinali o giurisprudenziali finalizzati a darne contorni precisi, in linea generale si ritiene un motivo grave quando:

  •  Si sostanzia in un fatto estraneo alla volontà del conduttore;
  •  È sopravvenuto alla conclusione del contratto;
  •  Rende oltremodo gravosa ( in termini economici, materiali o psicologici) la prosecuzione del rapporto locatizio.

È evidente che possa essere considerato grave motivo l’epidemia da Covid-19 che ingloba in se tutti e tre i requisiti appena evidenziati: sicuramente è un fatto estraneo alla volontà del conduttore e sopravvenuto alla conclusione del contratto ed ha reso gravoso il godimento dell’immobile sia in termini economici ( molte famiglie si sono ritrovate senza mezzi di sostentamento o con una notevole riduzione a causa dell’enorme mole di lavoratori messi in cassa integrazione oppure, per i lavoratori autonomi, perché obbligati a tenere chiuse le proprie attività), sia materiali dovuti all'impossibilità di spostamento nel territorio nazionale, sia infine psicologici a causa del timore di contagio ancora più accentuato nel caso, spesso frequente per le locazioni di studenti, di condivisione di parti importanti dell’abitazione ( quali bagno e cucina).

 

Salvo diverse intese con il proprietario, il conduttore è tenuto a comunicare la propria volontà di recesso per gravi motivi al locatore dandone un preavviso di almeno tre mesi mediante lettera raccomandata con ricevuta di ritorno.

 

Durante i tre mesi che seguono la comunicazione l’affitto dovrà continuare ad essere pagato ed il mancato versamento dei canoni fa incorrere l’inquilino nel rischio di una procedura di messa in mora ed altrettanto ha a dirsi nel caso in cui la disdetta avvenga senza rispettare i termini previsti dal contratto, in quest’ultimo caso il locatore può anche decidere di trattenersi il deposito cauzionale al fine di compensare il canone dovuto per i mesi di locazione mancanti.

 

Quanto poi alle modalità di rilascio è opportuno sottolineare che “l’obbligazione di restituzione della cosa avuta in godimento gravante sul conduttore deve ritenersi adempiuta mediante la restituzione delle chiavi dell’immobile con la incondizionata messa a disposizione del medesimo, senza che sia al riguardo necessaria la redazione del relativo verbale” ( Cass. Civ. sez. III, 17 gennaio 2012, n.550) e che “l’obbligazione di restituzione dell’immobile locato, posto a carico del conduttore dall’art.1590 c.c. non si esaurisce in una qualsiasi generica messa a disposizione delle chiavi, ma richiede, per il suo esatto adempimento, un’attività consistente in un’”incondizionata” restituzione del bene, vale a dire in un’effettiva immissione dell’immobile nella sfera di concreta disponibilità del locatore” ( Cass. Civ., sez. III, 14 marzo 2017, n.6467 sentenza che ha confermato la decisione di merito che aveva accertato il perdurante inadempimento a tale obbligazione, sul presupposto che l’immobile locato fosse risultato occupato da beni di pertinenza del conduttore che impedivano la sua libera disponibilità). 

 

Alla luce di questi principi, può dunque ritenersi che ove l’immobile continui ad essere occupato dai beni (arredi, oggetti di qualsiasi natura) del conduttore non sia sufficiente la consegna (o l’invio) al locatore delle chiavi dell’immobile per ritenere che sia cessato l’obbligo del conduttore di pagare il canone. Non solo: va tenuto presente anche che ove il conduttore rilasci l’immobile e lo riconsegni in anticipo rispetto alla scadenza del termine di preavviso egli continuerà ad essere tenuto al pagamento del canone fino alla scadenza del termine anzidetto (infatti “il recesso del conduttore produce l’effetto risolutivo della locazione al compimento del prescritto (o concordato) periodo di preavviso e fino a tale termine il conduttore è tenuto a versare i canoni, indipendentemente dal momento (eventualmente anteriore) di materiale rilascio dell’immobile” (Cass. civ., sez. III, 27 aprile 2011, n. 9415; Cass. civ., sez. III, 27 novembre 2006, n. 25136). 

 

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