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Le responsabilità dell'avvocato

La responsabilità civile

La responsabilità del prestatore d’opera intellettuale nei confronti del proprio cliente per negligente svolgimento dell’attività professionale implica una valutazione positiva — non necessariamente la certezza — sul probabile esito favorevole della sua attività se fosse stata correttamente e diligentemente svolta, con la conseguenza che la  mancanza di elementi probatori idonei a giustificare una valutazione positiva sul probabile esito dell’attività esclude la responsabilità del legale, in quanto la responsabilità dell’avvocato non può affermarsi per il solo fatto del mancato corretto adempimento dell’attività professionale; occorre verificare, quindi, se, qualora l’avvocato avesse  tenuto la condotta dovuta, il suo assistito avrebbe conseguito il riconoscimento delle  proprie ragioni, mancando altrimenti la prova del necessario nesso causale tra la condotta del legale e il risultato ottenuto (Cass. 22376/2012). 

 

La responsabilità per colpa professionale implica, quindi, una valutazione positiva sul probabile esito favorevole dell’azione giudiziale che avrebbe dovuto essere proposta e diligentemente seguita

L’esigenza dell’attività informativa del professionista è funzionale a ottenere un consenso informato da parte del cliente e trova il suo fondamento nei principi di cui agli  artt. 1175 e 1176 c.c. e  nella L. 27/2012, che prevede,  tra gli obblighi informativi che il professionista deve osservare prima del formale conferimento dell’incarico, anche quello di comunicare al cliente il grado di complessità  dell’incarico e di fornirgli tutte le informazioni utili circa gli oneri ipotizzabili da quel  momento fino a quello dell’esaurimento della propria attività

È opportuno peraltro chiarire che l’indagine sull'estensione e sull'oggetto dell’attività informativa fornita dal professionista al cliente è superflua nel caso in cui quest’ultimo abbia conseguito, tramite l’opera del primo, un risultato favorevole.

 

 

Qualora invece il cliente non raggiunga il risultato cui mirava attraverso l’opera del professionista e attribuisca al medesimo la responsabilità dell’insuccesso o vi sia contestazione sui limiti dell’incarico conferito, grava sul professionista l’onere di dimostrare i termini dell’accordo raggiunto con il cliente e il prodotto dell’attività consultiva svolta in favore dello stesso.  

La responsabilità penale

Sono numerosi i reati che possono essere commessi dall'avvocato nell'esercizio della professione.  Di seguito analizziamo le fattispecie più rilevanti. 

  • Il delitto di corruzione in atti giudiziari (art. 319ter c.p.)

Ricorre quando i fatti di corruzione indicati negli artt. 318 e 319 c.p. sono commessi per favorire o danneggiare una parte in un processo civile, penale o amministrativo. La pena è aumentata se dal  fatto deriva l’ingiusta condanna di taluno alla reclusione.  Il reato può ritenersi consumato quando fra le parti sia stato raggiunto anche solo  un accordo di massima sulla ricompensa da versare in cambio dell’atto o del comportamento del pubblico agente, anche se restino da definire ancora dettagli sulla concreta fattibilità dell’accordo e sulla precisa determinazione del prezzo da pagarsi. 

  • Tirocinio o consulenza infedele.

L’art. 380 c.p. punisce il reato di patrocinio o consulenza infedele, che consiste nel  fatto del difensore o del consulente tecnico che, rendendosi infedele ai suoi doveri  professionali, arreca un danno agli interessi della parte da lui difesa, assistita o rappresentata davanti all'autorità giudiziaria o alla Corte penale internazionale

Il delitto richiede, quindi, una condotta irrispettosa dei doveri professionali stabiliti per fini di giustizia a tutela della parte assistita e un evento che implichi un danno  agli interessi di quest’ultimo; il danno però non va necessariamente inteso in senso civilistico, in termini cioè di «danno patrimoniale», ma nel senso di mancato conseguimento di beni giuridici o di benefici di ordine anche solo morale che alla parte sarebbero potuti derivare dal corretto e leale esercizio del patrocinio legale.  Sono previsti aumenti di pena se il colpevole commette il fatto collidendo con la  parte avversaria, se il fatto è commesso a danno di un imputato o di una persona imputata di un delitto per il quale la legge commina l’ergastolo o la reclusione superiore a cinque anni. 

Ai fini della sussistenza dell’elemento soggettivo del delitto di infedele patrocinio  non è necessaria la specifica volontà dell’agente di nuocere alla parte assistita (Cass.  pen. 42913/2010). 

Altre infedeltà del difensore o del consulente tecnico.

 

L’art. 381 c.p. (altre infedeltà del difensore o del consulente tecnico) punisce il difensore o il consulente tecnico che, in un procedimento davanti all'autorità giudiziaria, presti contemporaneamente, anche per interposta persona, il suo patrocinio o la sua consulenza a favore di parti contrarie. La pena è aumentata se il patrocinatore o il consulente, dopo aver difeso, assistito o rappresentato una parte, assume, senza il consenso di questa, nello stesso procedimento, il patrocinio o la consulenza della parte avversaria.  Come per il delitto di patrocinio o consulenza infedele (art. 380 c.p.), anche il reato punito dall'art. 381 c.p. richiede l’instaurazione di un procedimento davanti all'autorità giudiziaria, quale elemento costitutivo del reato.  Il reato in esame non sussiste quando le parti apparentemente contrapposte, in favore delle quali l’esercente la professione legale presti contemporaneamente la propria opera, perseguano in realtà un unico e lecito fine ad esse comune, facendo difetto, in tal caso, l’evento tipico del reato identificabile nel danno arrecato alla parte o nel  perseguimento di un fine illecito.  

  • Millantando credito presso il giudice, il pubblico ministero, il testimone, il perito o l’interprete

Un’altra fattispecie penale incriminatrice riferibile all'avvocato è quella prevista  dall'art. 382 c.p., che punisce il millantato credito del difensore, ossia la condotta del  difensore che, millantando credito presso il giudice, il pubblico ministero, il testimone, il perito o l’interprete, riceve o fa dare o promettere dal suo cliente, a sé o a un terzo, denaro o altra utilità, con il pretesto di doversi procurare il favore di tali soggetti ovvero di doverli remunerare.  Per integrare la millanteria, ossia la vanteria della propria possibile influenza su uno  dei soggetti indicati dalla norma, è sufficiente che l’agente prospetti la corruttibilità o  l’avvenuta corruzione di essi, inducendo la convinzione che sia in tal modo possibile  interferire sulla decisione.

 

Il reato di millantato credito può anche manifestarsi in termini omissivi, attraverso  millanterie implicite, quali quelle del difensore che, dopo avere manifestato al cliente l’esistenza di suoi rapporti con appartenenti all'ordine giudiziario, riceva o si faccia  promettere somme che il cliente ritenga di dover versare affinché l’avvocato possa poi  comprare i favori del pubblico ufficiale. 

  • Frode processuale.

Particolarmente rilevante è il reato di frode processuale (art. 374 c.p.), commesso  da chiunque, nel corso di un procedimento civile o amministrativo, al fine di trarre in  inganno il giudice in un atto di ispezione o di esperimento giudiziale, ovvero il perito  nell'esecuzione di una perizia, modifica artificiosamente lo stato dei luoghi o delle cose  o delle persone.  Il reato sussiste anche se il fatto è commesso nel corso di un procedimento penale, anche davanti alla Corte penale internazionale, o anteriormente ad esso, ma in tal  caso la punibilità è esclusa se si tratta di reato per cui non si può procedere che in seguito a querela, richiesta o istanza e questa non è stata presentata.

 

Il delitto di frode processuale è un reato di pericolo a consumazione anticipata, che  si perfeziona con la mera modifica dei luoghi, purché questa si riveli idonea a trarre in  inganno i soggetti destinatari della condotta fraudolenta. 

  • Intralcio alla giustizia.

Un’ulteriore fattispecie riferibile al difensore è il reato di intralcio alla giustizia (art.  377 c.p.), consistente nel fatto di chiunque offre o promette denaro o altra utilità alla  persona chiamata a rendere dichiarazione davanti all’autorità giudiziaria, alla Corte penale internazionale, alla persona richiesta di rilasciare dichiarazioni dal difensore nel  corso dell’attività investigativa o alla persona chiamata a svolgere attività di perito, consulente tecnico o interprete, per indurla a commettere i reati previsti dagli artt. 371bis  , 371ter, 372 e 373 c.p., qualora l’offerta o la promessa non sia accettata o qualora l’offerta o la promessa sia accettata ma la falsità non sia commessa

  • Favoreggiamento personale.

Commette, invece, il reato di favoreggiamento personale (art. 378 c.p.) chiunque,  dopo che fu commesso un delitto per il quale la legge stabilisce l’ergastolo o la reclusione, e fuori dei casi di concorso nel medesimo, aiuta taluno a eludere le investigazioni dell’Autorità, comprese quelle svolte da organi della Corte penale internazionale, o a sottrarsi alle ricerche effettuate dai medesimi soggetti.  Sussiste, ad esempio, il favoreggiamento personale nel caso in cui un avvocato,  dopo che è stata commessa una rapina, cerchi di convincere un teste a modificare la  dichiarazione già resa alla polizia giudiziaria in senso favorevole alla posizione del proprio assistito (Cass. pen., 22617/2007). 

  • Favoreggiamento reale.

Accanto al favoreggiamento personale è configurabile il reato di favoreggiamento reale (art. 379 c.p.) nella condotta di chi aiuta taluno ad assicurare il prodotto o il  profitto o il prezzo di un reato. Il delitto di favoreggiamento reale, consistendo nell’aiutare taluno ad assicurare il prodotto, il profitto o il prezzo di un reato, richiede che,  qualora il reato presupposto sia di natura permanente, sia giunto ad esaurimento l’iter criminis dello stesso. 

  • Rivelazione di segreti inerenti a un procedimento penale.

Commette il reato di rivelazione di segreti inerenti a un procedimento penale (art.  379bis c.p.) chiunque riveli indebitamente notizie segrete riguardanti un procedimento penale, da lui apprese per aver partecipato o assistito a un atto del procedimento  stesso, nonché il soggetto che, dopo avere rilasciato dichiarazioni nel corso delle indagini preliminari, non osservi il divieto di comunicare i fatti e le circostanze oggetto  dell’indagine di cui hanno conoscenza, imposto dal p.m. ai sensi dell’art. 391quinquies  c.p.p.

A titolo di esempio, integra il reato ex art. 379bis c.p. la condotta dell’avvocato che,  nel corso di un’intervista, riveli dati emersi dall'autopsia comunicati dal suo consulente di fiducia.  

 

Nel prossimo articolo parleremo delle modalità di esercizio dell'attività forense: dovere di lealtà e probità.

 

 

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